Forum: Gastronomia romana Téma: Pompei: mostra sull'alimentazione dei Romani ---------------------------------------------------- Ospite: La Soprintendenza archeologica di Pompei(SAP) ha da pochissimi giorni promosso una mostra, chiamataDe gustibus, dall'orto alla tavola sull'alimentazione dei Romani illustrando i prodotti ortofrutticoli dei giardini, degli orti e dei vigneti del circondario di Pompei del periodo vicino al 79 d.c.: lo stesso in cui la ricca ed elegante cittadina vesuviana venne distrutta dal famoso terremoto coevo restando sepolta da circa 5 metri di lapilli e ceneri. La coltre così formatasi ha isolato dall'ambiente circostante semi, solchi e polline consegnandoli alll'analisi dei botanici. Nuovo ramo utilizzato dall'archeologia. L'importanza di questa mostra è data oltre che dalla divulgazione dei costumi alimentari non solo dei ricchi, di cui abbiamo traccia per esempio dagli scirtti di Petronio, fedele espositore delle abitudini di vita dei ceti agiati, anche da quella delle restanti fasce sociali comprendendo le più modeste. Altro motivo d'importanza della SAP, riferisce il soprintendente Giovanni Guzzo, è l'utilizzazione del metodo delle riceche dei botanici sopracitato per la validità scientifica dei risultati. Grazie alla creazione, nel 1995,di un Laboratorio di ricerche applicate, si è riuscito a ricostruire l'habitat dei 20 secoli trascorsi, con opportune e raffinate tecniche scientifiche. Tali metodi permettono di riconoscere una pianta, sapere cosa coltivavano nel passato, quali spezie erano usate e perfino quali piante ornamentali abbellivano i loro giardini. E' venuto così fuori l'insieme di molte abitudini alimentari di quel periodo: l'insalata vedeva l'impiego del pungitopo. (continua) Plinius: La Soprintendenza archeologica di Pompei (SAP) ha da pochissimi giorni promosso una mostra, chiamata De gustibus, dall'orto alla tavola sull'alimentazione dei Romani illustrando i prodotti ortofrutticoli dei giardini, degli orti e dei vigneti del circondario di Pompei del periodo vicino al 79 d.c.: lo stesso in cui la ricca ed elegante cittadina vesuviana venne distrutta dal famoso terremoto coevo restando sepolta da circa 5 metri di lapilli e ceneri. La coltre così formatasi ha isolato dall'ambiente circostante semi, solchi e polline consegnandoli alll'analisi dei botanici. Nuovo ramo utilizzato dall'archeologia. L'importanza di questa mostra è data oltre che dalla divulgazione dei costumi alimentari non solo dei ricchi, di cui abbiamo traccia per esempio dagli scirtti di Petronio, fedele espositore delle abitudini di vita dei ceti agiati, anche da quella delle restanti fasce sociali comprendendo le più modeste. Altro motivo d'importanza della SAP, riferisce il soprintendente Giovanni Guzzo, è l'utilizzazione del metodo delle riceche dei botanici sopracitato per la validità scientifica dei risultati. Grazie alla creazione, nel 1995, di un Laboratorio di ricerche applicate, si è riuscito a ricostruire l'habitat dei 20 secoli trascorsi, con opportune e raffinate tecniche scientifiche. Tali metodi permettono di riconoscere una pianta, sapere cosa coltivavano nel passato, quali spezie erano usate e perfino quali piante ornamentali abbellivano i loro giardini. E' venuto così fuori l'insieme di molte abitudini alimentari di quel periodo: l'insalata vedeva l'impiego del pungitopo. (continua) Plinius: (seconda) Altre cose, per noi moderni magari sconcertanti perchè di diverse abitudini, sono emerse da un lavoro semplice: la lettura delle testimonianze letterarie diApicio, Catone, Columella, Plinio il Vecchio e glistudi del già "laboratorio di ricerche applicate , sotto la responsabilità della biologaA.M. Ciarallo. Ne è venuto fuori che piante utilizzate allora per cure mediche (salvia, rosmarino, limone,basilico per curare la nausea, canna da zucchero citata da Plinio per usi curativi) oggi vengano usate per l'alimentazione e piante come pungitopo per l'insalata, timo, aneto, coriandolo, cumino, alloro, venivano usate per alimentarsi. Il garum, nota salsa ricavata dagli scarti del pesce e filtrata (somigliante all'attuale scolatura di alici), sostituiva molto spesso il sale che per lungo periodo restò un prodotto raro e costoso. Le carni venivano conservate con grande uso di spezie importate dall'Oriente: cannella, pepe, zenzero, chiodo di garofano. Attuando gli stessi criteri dell'archeologia sperimentale, tesa a trovare risposte a quesiti non consultabili in fonti di qualunque genere, vengono utilizzati dalla dott.ssa A.M. Ciarallo, del Laboratorio vesuviano di ricerche applicate, nel curare la zona verde sperimentale e nel tentare di trovare risposte sugli usi di quell'epoca cercando di immedesimarsi nelle necessità e possibilità della maggioranza di quel periodo stante la numerosa e maggiore presenza di persone non ricche. Ed ecco affrontare le necessità quotidiane quali conservare gli alimenti, pulire le verdure per eliminarne parassiti e residui degli orti grazie anche, quando disponibili, a fonti letterarie come "De rustica" di Columella che riferisce l'uso per immersione di una soluzione 2 terzi di aceto e 1 terzo di salamoia forte. Ma le ricerche non si sono fermate alla replica di quanto trovato: se ne è anche verificata la validità igienica. Sospettando che quel procedimento di pulizia fosse insalubre se ne sono verificate le possibilità di occorrenze gastroenteriche con saggi adeguati su carote e cavoli tratte direttamente dal terreno e si è giunto ad un risultato sconcertante: metodo di pulitura igienicamente sicuro. Ci dovrebbe permettere di ricordare una cosa lapalissiana: in qualche modo dovevano fare e con mezzi a noi oggi estraneie perchè no, curiosi, ai nostri occhi di moderni. Dr Domus: Plinie, Ave. Il tuo intervento mi è particolarmente gradito e utile. Per due motivi: il primo, poichè il criterio di indagine adotatto dalla Ciariello & C. (come hai già anticipato), va ben oltre il ricostruire ciò che è residuamente attestato. C'è chi non si accontenta dell'attestazione filologica dell'aneto o del silfio in Apicius, piuttosto che della procedura di Columella per ottenere il sopraffino Garo, ma al contrario, pensa a come diamine fare a conservare i cibi o a cucinarli, e dunque va oltre... E andando oltre superi i residui delle fonti, pur di giungere a qualcosa che "si possa mangiare". Purchè si rispettino comunque i parametri storici in ballo. Da questo punto di vista non posso non citare due contemporanei, H.P. Von Peschke und W. Feldmann, appassionati, studiosi e ricercatori dell'ambito gastronomico romano, che affermano sulla cucina romana derivata da Apicius: "con nostra evidente sorpresa, molto più raramente si incontrano basilico ed aglio, ma è ancora più sorprendente che non siano mai nominate erbe così tipicamente meridionali, come il rosmarino e la salvia, anche se di questa sappiamo, che la si usava quale erba medicinale. Per spiegare tali assenze, possiamo avanzare due ipotesi: la prima, che fossero tanto usate nella cucina popolare (romana, nds) da divenire tipiche e quindi non sufficientemente "all'altezza" per la cucina pratrizia; la seconda: che il loro impiego fosse tanto "normale" per non meritare neppure di farne menzione" E' bene che ricordi qui, che seguissimo rigorosamente le fonti (scarse), la cucina romana non userebbe aglio, basilico, prezzemolo, salvia, e tutte le erbe officilnali patrimonio della cultura italica...:?::(:shock: Il secondo motivo del mio interesse sta nel fatto che la nuova sede da noi aperta, il SOL INVICTUS, ha tra i primari obiettivi, la creazione di un centro eno-gastronomico romano. E dunque la cucina romana riveste un ruolo determinante per ArsDimicandi. Io stesso, sono decennale cuoco della roma antica, e le ulime 150 persone che hanno partecipato alla ns festa del 19 marzo, pare siano state particolarmente soddisfatte!!! E' forse il caso di aprire un topic specifico? PS La colata di alici è il Garum. Sale e pezzi di pesce, lasciati fermentare per mesi al caldo fino all'ottenimento del sacro liquido ocra-marroncino. Ecco la testimonianza di Varrone e Columella: "prendere dei piccoli spratti (pesci simili alle sardine), delle acciughe o degli sgombri, sminuzzarli su un tagliere e mescolarli aggiungendo del sale (1 Kg ogni 9 Kg di pesce). Dopo una notte versare in un vaso di terracotta, da lasciare poi aperto al sole..." Posso solo dire una cosa: per due mesi hai un odore peggiore di quello che ottieni con la distillazione della vinaccia per fare la grappa. Ma il risultato è straordinario. Il Garo non è il risultato di pesce "marcito", bensì di pesce "macerato" dunque fermentato. Come il vino o la grappa. Valete Plinius: Completando l'argomento sulla salubrità raggiungibile con il modo utilizzato per lavare le verdure, aggiungo che la biologa A.M. Ciarallo ha fatto eseguire identico procedimento di lavaggio ad un laboratorio specializzato che dopo 15 giorni (personalemente sono rimasto sorpreso) ha certificato come il campione esaminato fosse inerte. Ritengo che il ricorrere al gabinetto esterno sia stata dettata dal desiderio di dare contezza di valore probante all'esame, e naturalmente non perchè nel Laboratorio di ricerche applicate mancassero le conoscenze per compiere quella prova. La mostraDe gustibus, che sarà attiva sino al 26 giugno c.a., ha incrinato un altro luogo comune sulla diffusione dell'uso e dell'abuso del vino che si dice facessero allora. I Pompeiani specialmente erano molto parchi anche se conoscevano e coltivavano 8 varietà di viti. Tra l'altro studi mirati hanno evidenziato che solo la terza parte del vino prodotto veniva usato per i pasti: una terza parte veniva impiegata per trasformarlo in aceto e in sapa (allora noto prodotto ottenuto dalla cottura del mosto utilizzato per conservare la frutta) e l'ultima parte veniva usato come vino medicinale. Quest'ultimo, unito a infusi d'erbe, era utilizzato per la cura di dissenteria, insonnia e mal di gola. ( :) Che ogni scusa fosse buona per bere?) La ricercatrice A.M. Ciarallo è nota conoscitrice della flora del circondario di Pompei e su questo argomento ha scritto il volume Flora pompeianaErma di Bretscneider, pp 272 € 150 oltre a conoscere la cucina pompeiana di quel periodo così a fondo da saper preparare molti piatti in apposito ricettario che testimonia con le sue informazioni il gusto di allora. Il latte e i latticini erano l'alimento diffusissimo e molto consumati: veniva abbbondantemente usato per far lievitare il pane dopo aver mescolato grano duro e ricotta; modesto era il consumo di carne vaccina dato che i buoi erano una forza lavoro abbastanza utilizzata. Plinius: Altre notizie carpite dagli studi fatti dal laboratorio di ricerche applicate, riguardano il trattamento alimentare delle carni. E' risultato che avessero le conoscenze per preparare salsicce e prosciutti e inoltre che sapessero affumicare e stagionare la carne suina per conservarla differendone il consumo. La loro alimentazione vedeva il consumo prevalente di legumi, di pesce, delle olive (quasi sempre presenti nelle abitudini almentari delle popolazioni mediterranee) di cereali, di dolci e di datteri, tutti prodotti che sapevano trattare. Cosa profondamente diversa accadeva alle loro capacità di lavorare il vino prodotto. Era abbastanza sgradevole e la dott.ssa avanza l'ipotesi che questo era il motivo per cui lo concedevano anche agli schiavi. (Naturalmente questo è un giudizio di noi moderni, a mio personale vedere, con gusti molto cambiati da allora). (Una mia personale interpretazione sull'erogazione dei vini anche agli schiavi vede altra ragione. Un modo facile di tenerli sottomessi concedendo loro un alimento che per quanto diffuso presso tutti i ceti sociali, poteva non essere concesso. Concedendolo rafforzava il legame con il padrone e contemporaneamente, come è ovvio,ne impediva la disobbedienza perchè lasciava vedere una agiatezza e ricchezza alimentare che fuggendo non avrebbero potuto avere). I vini venivano conservati in tini chiamati DOLI di m. 1,70 du altezza soterrati a loro volta come ancora oggi si usa fare in alcune zone della Basilicata. Durante le operazioni di immagazzinamento venivano inevoitabilmente trovati insetti o animali caduti nel mosto e il loro rimedio era abbastanza insolito: li recuoperavano, li bruciavano e li riintroducevano dentro. Personalmente mi sembra un non sense. Sarà stato sicuramente così dato che emerge dalle letture della [u Storia naturale[/u] diPliniofatte dalla dott.ssa A.M. Ciarallo. Chisà da cosa dipendeva questa loro procedura e sarà legata a nozioni di cose a noi sconosciute. Sono anche convinto che negli stessi preparativi artigianali odierni, e fuori dalle verifiche delle norme comunitarie, accadano ancora oggi cose simili che restano così per la naturalezza con cui la vedono i produttori. Certamente se dovessero trovare animali o insetti e li togliessero, non si prenderebbero la briga di bruciarli e rimetterli nel vino. Salvo sia un segreto di produzione destinato a fargli raggiungere caratteristiche organolettiche tradizionalmete perseguite. Dr Domus: Ave Plinie! A proposito di insetti, vuoi dire che anche il vino "moscato" è un invenzione romana?:P:P:P Scherzi a parte... Quello che noi beviamo oggi è definito vino "crudo". A prescindere dalla tipologia di uva e vinificazione (fermentazione naturale, piuttosto che forzata come il Novello, etc), il tipo di gusto e profumo è identificabile come vino crudo. L'instabilità del vino antico (almeno così si dice) era sopperita aumentandone grandemente la gradazione alcolica. Famosa è la mescita annacquata infatti, per rendere bevibile il vino. A questo proposito in certe località abruzzesi, ancora oggi i contadini fanno il vin cotto (che non centra niente col vin brulè). Una parte del mosto appena schiacciato, viene fatto bollire fino a diventare una crema densa come il miele, e poi riversato nelle botti. Questo concentrato di fermenti aumenta smisuratamente la fermentazione (un po' come mettere zucchero o miele ma molto più potente). Il risultato è un vino straordinario, stranissimo, che giunge facilmente a 18-20° alcolometrici. Tuttavia molto delicato. Chissà se anche i romani adottavano questo sistema. Forse il "bruciare" parte del mosto (insetti compresi), identifica questa procedura? Plinius: Ecco, per quanto strano a chi non è addetto ai lavori, questa già potrebbe essere una spiegazione. Sarebbe necessaria una ricerca in tal senso.:) Fuori sacco: In merito al "moscato" ... :) chi lo può escludere? Non è forse risaputo che i contadini a volte non si allontanavano dalle vasche, dove pestavano l'uva, neanche nel momento cruciale di quelle...necessità biologiche?:lol: Bibliolathas: Omnibus sodalibus spd Bibliolathas Tutto molto interessante. Quasi quasi mi metto a coltivare ceci, fave, farro etc... Visto che avete messo la ricetta del Garum, mi date per cortesia quella dell'idromele? Perchè in internet ho trovato ricette discordanti,e per quanto riguarda Columella quasi dovevo guardare il latino per capire l'italiano, dato che il volumone polveroso era del 1860 circa... Valete Dr Domus: Buono l'idromele! Nelle nostre feste è concorrenza pura tra Mulsum e Idromele. Lievito, miele e acqua... (anche qualche pezzo di frutta, come mele o pere) per due settimane di fermentazione. Ma le quantità vado a recuperarle entro breve...:oops: Plinius: Salve Bibliolathas, e tante altre ancora di differente elencazione se ne trovano. Forse perchè erano delle variazioni tipiche dei diversi luoghi in cui veniva prodotto. Un po' come una biblioteca dove a seconda dell'autore uno stesso argomento viene esposto in un modo o in un altro... Tvllia: Ave Tutto molto interessante, anche la ricetta dell'idromele, che purtroppo non ho mai assaggiato:oops: , e del quale non sapevo nemmeno un ingrediente. Mi sbaglio dicendo che era una delle bevande preferite dei Celti? A proposito di ricette, torniamo all'ambiente militare: qualcuno sa come veniva fatto il Pane militare? Grazie Seneca: Certo ma è preferibile farlo in un topic specifico dell'alimentazione in genere dato che questo è un topic dedicato alla mostra. Dr Domus: Fatto amici. Ora esiste un forum specifico:lol: